BANCHE, RIVOLUZIONE TECNOLOGICA E DATA DRIVEN. COLLOQUIO CON SERGIO BOMMARITO

Con l’entrata in vigore della direttiva della Commissione Europea Psd2 (Payment service directive 2),l’utente banca, che sia esso retail o azienda, potrà decidere di dare accesso ai propri dati bancari a soggetti esterni ed effettuare con maggiore facilità pagamenti attraverso soluzioni digitali di terze parti certificate, senza passare per il proprio istituto di credito. Qualcuno parla di folle deregulation, altri di opportunità per i correntisti grazie alla maggiore competitività. Ma ci saranno rilevanti opportunità anche per tutte le banche tradizionali che sapranno sfruttare il cambiamento senza restarne vittima.

Ne parliamo con Sergio Bommarito, presidente del gruppo Fire,  primo player indipendente non quotato in Italia nei servizi a supporto del credito, che punta a ritagliarsi un ruolo da protagonista sempre più importante nei diversi mercati in cui opera.

Bommarito, il futuro sarà sempre più data driven? Che cosa dobbiamo aspettarci?

Il dato e il suo valore. Questo è uno dei nodi focali della direttiva. Con la Psd2, che incentiverà lo scambio dei dati bancari, ad oggi ritenuto quasi un Sacro Graal, i titolari di conto corrente tornano in un certo senso ad essere realmente titolari dei dati che generano, inclusi quelli relativi alle transazioni, con la possibilità di condividerli con altre aziende rispetto alla propria banca e trarne beneficio: servizi, consulenza, credito e credibilità. Sì, perché si tratta a tutti gli effetti di un patto informativo. Una riduzione volontaria e consapevole dell’asimmetria informativa a favore di una remunerativa trasparenza. Una possibilità innovativa di valutare l’offerta di vari soggetti tra cui anche di far valutare in maniera più ampia il proprio merito creditizio.

Quali sono secondo lei i rischi legati a questo rivoluzione?

Nei Quaderni Fintech, Consob segnala fra i rischi associati all’aumento dei soggetti operanti nell’intermediazione finanziaria una maggiore vulnerabilità di sistema. Ma il rischio privacy appare scongiurato e si è corsi ai ripari regolamentando con zelo tutti gli aspetti relativi alla sicurezza della gestione del dato. Per tutti gli operatori, vecchi e nuovi, le spese relative alla cyber security – in parte imposte dal regulator, in parte imposte dalla necessità di assicurare affidabilità – aumenteranno. Le aziende che offriranno servizi di open banking dovranno infatti avere piattaforme che sottostanno alle stesse normative dell’online banking e dovranno essere approvate dall’autorità dei servizi finanziari. I nuovi soggetti, che saranno vigilati, dovranno dimostrare di avere procedure e standard di sicurezza, ma anche management e governance adeguati alla gestione dei dati bancari e dovranno essere capaci di sostenere strutture di costo in termini di cyber security, equiparabili a quelli delle banche. Nessuna improvvisazione insomma. D’altronde, in un momento in cui la quantità di dati finanziari in circolo per singolo utente aumenterà in maniera esponenziale, uno degli obiettivi dichiarati da Bruxelles, oltre all’apertura del mondo del credito a soggetti non bancari, è proprio rendere più sicure le transazioni. Molto più concreto invece, e a medio termine, è il rischio dell’ulteriore riduzione dei margini e dei profitti degli operatori tradizionali.

Migliaia di persone verranno coinvolte da questo cambiamento epocale. Dove risiede la vera opportunità per le migliaia di utenti? E per le banche tradizionali?

Si potranno condividere i propri dati per ottenerne, ad esempio, un semplice servizio informativo, come la raccolta aggregata di entrate ed uscite di più conti correnti su una singola interfaccia.

Partendo da questo concetto, il passo verso servizi di pianificazione finanziaria e delle abitudini di spesa, e quindi di vera propria consulenza, è breve, come auspicato da Consob. Opportunità derivante dai servizi informativi che potranno essere offerti grazie alla Psd2 è quindi per esteso anche quella dell’alfabetizzazione finanziaria degli italiani, che si attesta su livelli molto bassi a livello europeo.

Affermazione ancora più valida quando si parla di aziende, soprattutto PMI, che spesso sono del tutto prive di competenze in materia di pianificazione finanziaria e che sono quelle che più soffrono la stretta sul credito e la bancocentricità italiana, ma che potrebbero beneficiare di analisi sul merito creditizio fondate su criteri più ampi di quelli ad oggi adottati per l’erogazione, con effetti positivi sulla capacità di ottenere liquidità, a migliori condizioni e più velocemente.

Si parla anche di servizi di consulenza in materia di investimenti, assicurazioni e previdenza, gestione di portafogli e del proprio patrimonio. Ci si aspetta quindi che uno degli effetti positivi della disintermediazione sarà il proliferare di prodotti finanziari alternativi o a corollario dei tradizionali.

Ed è qui che si apre a mio parere un’opportunità per le banche tradizionali che sapranno far leva sull’innovazione, stipulando partnership strategiche con soggetti fintech. Parlo di partnership perché ritengo che il dilemma “make or buy” in questo momento sia di facile interpretazione.

Ci vuole troppo tempo per evolvere, meglio sfruttare le competenze verticali di chi è nato digitale, combinandole con know-how e strutture di compliance che non possono essere invece costruiti dalle fintech, almeno quelle più piccole e recenti, se non legandosi con banche con una reputazione solida in merito.

Se infatti molte sono le start-up fintech nate negli ultimi 5 anni, non tutte sono strutturate con sistemi di controllo e governance dimensionati per i volumi di affari che auspicano di raggiungere e quando si troveranno, da un giorno all’altro, ad essere vigilate dalle authority nazionali e a dover garantire standard di sicurezza, potrebbero a loro volta beneficiare di accordi con una “mamma banca” tradizionale.

La competizione non sarà ad armi impari per le banche tradizionali e quella dell’integrazione verticale con soggetti innovativi è già al vaglio di diversi istituti che intendono arricchire la propria offerta con investimenti minori e circoscritti, in maniera veloce e modulare, in più ambiti.

D’altra parte, alcune banche etichettate come “tradizionali” stanno già facendo molto in ambito innovazione ed intelligenza artificiale. Un esempio fra tutti, l’ologramma in filiale di Bper, che ha creato “Valentina” per svecchiare il concetto di ATM e di touchpoint fisico.

È ancora presto per prevedere come evolverà lo scenario: una spietata competitività, in cui a vincere saranno quelle società che cavalcavano l’onda dell’innovazione già da tempo, che siano esse banche o fintech, oppure la nascita di forme di collaborazione fra vecchio e nuovo mondo, verso una banca che è più una piattaforma e che sfrutta il dato, finora abbastanza sottoutilizzato per analizzare il comportamento del proprio cliente per personalizzare la propria offerta, con filiali che diventano hub di servizi ad alto valore aggiunto.

Quindi, stando a quanto ci racconta, dovrebbe cambiare per sempre il concetto di banca?

Open banking, Proximity Banking, Smart Banking, Utility che studiano da banca. La banca come la conosciamo oggi rischia di essere sempre meno attrattiva per l’utente finale, soprattutto per quelle fasce di età che cominceranno a rappresentare per via delle numeriche, una popolazione significativa, ovvero millennials e generazione z, (ma anche baby boomer altamente digitali, e non sono pochi), sempre più attenti a costi, reputazione, etica e protezione dei dati.

Diversi studi suggeriscono che anche i giovanissimi non rinuncerebbero alla presenza fisica della banca. Insomma, nulla si crea, nulla si distrugge, i servizi transazionali non scompaiono ma si evolvono verso la prossimità grazie a tecnologia e dati.

Certo è che sta salendo la lancetta del barometro che misura la pressione sulla redditività delle banche tradizionali. Evolvere il business model sembra l’unica strada, e da percorrere anche con una certa rapidità, trovando al contempo soluzioni per ridurre le perdite sul credito, gestendone l’intero ciclo in maniera più efficiente per limitare i costi. Si parla di rivoluzione, e per certi aspetti è così, ma credo che il cambiamento reale non avverrà prima di un paio di anni, di pari passo con la crescita della fiducia degli utenti verso questo tipo di servizi, tradizionalmente, almeno in Italia, abbastanza contenuta. Non credo ci sveglieremo domani in un mondo del credito totalmente diverso, ma della sveglia, si sente già forte il ticchettio.

 

 

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