BACK TO THE FUTURE: IL VENTO DELL’INNOVAZIONE SPAZZERA’ VIA IL VECCHIO CREDIT MANAGEMENT, GONFIANDO LE VELE DI CHI SAPRA’ SFRUTTARLE?

ARTICOLO DA: CREDIT VILLAGE

Che volto aveva la gestione del credito 40 anni fa? Senza timore di rivelare la mia età anagrafica, posso dire “io c’ero!” e quindi quel volto l’ho visto. Negli anni ‘80, era il volto degli esattori – così si chiamavano allora – e degli avvocati. Erano solamente le società di credito al consumo che affidavano all’esterno il recupero, sulla base di mandato diretto a singoli individui, che definivano le azioni da attuare. Poche regole, unica norma di riferimento datata 1931, nessun utilizzo della tecnologia (quella che era allora disponibile), ciò che si riusciva a recuperare era tanto di guadagnato. Si recuperavano le singole rate con due possibili strade: esazione domiciliare o azione legale tout-court.

È in quegli anni che l’avventura Fire ebbe inizio. Pensai che ci fosse bisogno di servizi più articolati ed innovativi a supporto della gestione del credito. Oggi forse mi chiamerebbero startupper.

Non c’era allora neanche un’associazione di categoria che raggruppasse le società di recupero crediti. Solo nel 1996, per effetto della circolare Masone, si cominciò a parlare della necessità di costituirne una e si gettarono le basi per la nascita di quella che oggi si chiama UNIREC. Da lì, tutti gli sforzi di autodisciplina per definire, attuare e diffondere buone prassi per smontare il paradigma del recupero visto come “soluzione finale”, con l’evoluzione più recente dell’instaurarsi del dialogo permanente con le Associazioni dei Consumatori a garanzia di un operato corretto e trasparente tramite il FORUM UNIREC-CONSUMATORI.

Ma torniamo all’amarcord, utile a farci comprendere cosa il futuro può avere in serbo per noi. Nei primi anni duemila qualche pioniere iniziò a sperimentare la phone collection – malvista da molte committenti perché chiamare il cliente prima dell’arrivo dell’esattore poteva rovinare l’effetto “sorpresa” e minare le probabilità di incasso. Alcune società vietavano addirittura le telefonate pre-visita! Ne è passata di acqua sotto i ponti e oggi l’approccio è diametralmente opposto, collaborativo, che prende in considerazione la visione a medio-lungo termine. Il mondo del credito, da allora, è cambiato, ed è diventato da piccolo settore, un’industria nazionale, fondamentale nella vita economica del Paese.

Il termine industria riflette perfettamente l’attuale situazione di sistema fra aggregazioni e spinta tecnologica sempre più importante. È diventato necessario raggiungere una certa massa critica per potersi permettere investimenti in qualità e tecnologia e per poter applicare quella che viene definita data science(machine e deep learning ma anche scoring), sfruttando quanto di positivo può offrirci l’intelligenza artificiale per portare quella umana su un altro livello.

È nel pensare a questo connubio umano/tecnologia che sorge la domanda: com’è possibile agire da industria con processi tecnologici e data-driven conservando un approccio da artigiano?

È difficile, ma a mio parere, richiesto dal mercato per conservare un equilibrio fra performance e sostenibilità per i vari attori coinvolti.

L’ondata di NPL, iniziata all’inizio degli anni duemila con le primissime cessioni di credito al consumo, che ha visto il suo picco nel triennio 2015-2018, ha immesso sul mercato del servicing grosse masse di crediti da lavorare ed è stata a mio parere uno dei fattori preponderanti per il cambio di velocità del sistema. Altro fatto certo è che l’evoluzione verso processi innovativi è stata e sarà una necessità.

Di pari passo, anche le competenze e la formazione del capitale umano si sono evolute assieme allo sviluppo del lavoro del credit manager. Oggi sia phone sia field collector (meglio definiti come consulenti domiciliari del credito), avvocati e asset manager, sono supportati da dati e tecnologie. Il loro approccio è dovuto diventare consulenziale, con l’abbandono del vecchio mantra “recupera il recuperabile”. Questo è tanto più vero tanto più parliamo di crediti vivi come gli Unlikely to Pay, per i quali ci si confronta con soggetti in momentanea difficoltà, ancora capaci di produrre reddito.

Riguardo alla tecnologia, ritengo che possa essere un bene, se adottata con saggezza. Sono orgoglioso di dire che facciamo la nostra parte. In collaborazione con un pool di università e una società operante nel settore del cognitive computing, stiamo sviluppando un progetto di machine learning, scoring evoluto e modelli predittivi che ci permetterà di migliorare quanto ad oggi già in uso in termini di utilizzo del dato, con l’obiettivo di individuare dall’analisi di contenuti non strutturati (testo, audio) algoritmi utili alla progettazione di sistemi AI-based. L’obiettivo è di indirizzare in modo più efficace l’operatività di phone collector, legali e asset manager, spiegando e fattorizzando ciò che i modelli basati su variabili statistiche tradizionali non sanno fare. Lo strumento finale, evoluzione del nostro sistema attuale, darà la possibilità alle banche di attribuire con maggiore accuratezza il valore alle posizioni e quindi ai portafogli, classificare correttamente i crediti secondo le normative BCE e quindi stimare più accuratamente gli accantonamenti a fondo rischi, supportando al contempo anche noi nella gestione del credito.

Dai primi risultati del progetto emerge che le tradizionali variabili statistiche, sebbene integrate con metadati dinamici e machine learning, non riescono a spiegare completamente l’effettiva capacità di recupero “umana”. L’abilità dell’individuo sembra sfuggire alle variabili della statistica. La tecnologia ci permette di fare passi da gigante ma non riesce ancora a sostituirci. Qualcuno potrà pensare “e menomale!”. Io penso che in realtà quando l’uomo beneficia di una macchina per migliorare la propria performance si ottenga la massima espressione dell’evoluzione.

Un altro tema che influenzerà l’evoluzione dell’industria del credito è l’evoluzione della tipologia di credito che andrà gestito. Mi spiego: l’ondata di NPL, dopo le stagioni delle grandi cessioni, andrà appiattendosi. Le banche che potevano cedere lo hanno fatto e benché ci siano ancora diversi deal di dimensioni importanti in pipeline, la vera chiave di lettura sul futuro dell’industria e del sistema bancario, è il cambio di paradigma verso una gestione precoce e proattiva degli attivi delle banche.

Gli istituti di credito, che si sono affacciati solo da qualche anno al mondo dell’outsourcing e delle cessioni, si trovano oggi davanti ad un ulteriore richiesta di accelerazione. Ed è qui che può avvenire il cambio di paradigma che permetterebbe di considerare il servicer non più come un costo ma come un partner per il risparmio sul costo del capitale, da coinvolgere sin dai primi segni di disagio creditizio secondo logiche di early warning, tanto raccomandate dal regolatore.

Il servicer “evoluto” non dovrebbe più essere chiamato a gestire la singola rata ma l’intera esposizione, per curare non solo il sintomo momentaneo del ritardato pagamento ma risalire alla causa della malattia e aiutare sia il debitore a trovare una via risolutiva più radicale valutando misure di forbearance in linea con i suoi attuali flussi finanziari, sia la banca a migliorare la propria classificazione del credito, con impatto positivo sul capitale di vigilanza.

Che tutto funzioni alla perfezione è tutt’altro che ovvio. È necessario, a mio parere, il verificarsi di diverse condizioni, fra cui:

  • uno “switch” di forma mentis lato banca. E qui, il quadro normativo con calendar provisioning e nuova definizione di “credito in default” renderà questo cambiamento quasi d’obbligo;
  • partnership strategiche con player dotati di competenze in tema di restructuring e tecnologie adatte a supportare i nuovi processi per la gestione al contempo industriale e customizzata delle eventuali masse di crediti che potranno essere trattati secondo questo schema

Non facile il passaggio, ma il risultato sarebbe win-win-win. Cliente, Banca, Servicer.

Lato sofferenze, sebbene si prevedano volumi in diminuzione, ovviamente ci sarà ancora molto da fare. Fra i temi che si tratteranno domani al Credit Village Day, ci sono le ragioni delle discrepanze che cominciano ad emergere fra curve di recupero attese e reali tassi di recupero. Su questo punto, credo che i principali fattori che contribuiscono, in ordine di importanza, siano:

  • la mancanza di politiche che assicurino l’allineamento di interessi fra investitore e servicer, soprattutto quando la due diligence in fase di acquisto del portafoglio non è stata effettuata da quest’ultimo. Questo rischio può essere parzialmente mitigato con il co-investimento del servicer, seppur in misura ridotta rispetto all’acquirente principale;
  • l’utilizzo di serie storiche per la valutazione dei portafogli e l’analisi prospettica. Per quanto accurata ed “esperta” possa essere l’analisi, non è detto che le performance reali si rivelino stabili nella realtà, nella quale intervengono anche fattori esogeni (macroeconomici, normativi) ancora non inclusi nelle previsioni;
  • la concentrazione su un solo servicer della gestione di un intero portafoglio. L’utilizzo di un benchmark è quanto di più sensato possa esserci per stimolare la performance e valutare in maniera allargata le performance di recupero rispetto alle previsioni.

Anche il risiko delle fusioni non sembra essersi arrestato. Non si può dire insomma che nei prossimi mesi il mare della gestione del credito sarà in bonaccia. Da vecchio marinaio, credo che il vento dell’innovazione stia già gonfiando le vele dei player che sapranno sfruttarlo, grazie a imbarcazioni solide e rodate e team saggi ed esperti a definire la rotta, ricchi dell’esperienza che proviene dal passato, con occhio vigile al futuro per avvistare da pionieri l’approdo su lidi che ancora non immaginiamo esistano.

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